Omelia I Avvento - B, 29 novembre 2020 (Mc 13,33-37)

 
Ave Maria!

 

Sembrano malinconiche le sere d’autunno. E’ ormai terminato perfino quel rosso fiammeggiare degli alberi che tende, piano piano al mutevole colore dell’arancione e che sa sfruttare ancora l’oro della luce. Il sole si è già fatto raro lungo il giorno che si restringe assai presto e sui prati o sui giardini le foglie non sono più che stracci sbattuti dal vento. Forse per questo, l’autunno ci parla sempre di un tornare a casa, quando il viaggio si è compiuto. Come ce ne parla, efficacemente, un autore contemporaneo in un suo bellissimo libro: “L’entusiasmo un po’ folle della primavera ormai lontano, la serena pienezza dell’estate già alle spalle. E l’autunno è lì davanti, che par quasi oscillare tra due mondi: comincia nel caldo residuo dell’estate e nella sua abbondanza, per terminare nel freddo dell’inverno. Proprio per questo, sarà un viaggio fatto di tante cose che affrontiamo. Dei riti della vendemmia, del buon vino, dei frutti tardivi che colorano le mense, di uomini e di animali in marcia tra le valli…E poi le foglie, i colori: come se tutto quel verde , vitale ed esondante dei mesi precedenti, avesse solo nascosto la natura più vera delle piante” (Cfr. Alessandro Vanoli, Autunno. Il tempo del ritorno, Il Mulino, Bologna).

In fondo, è vero, l’autunno ci parla di silenzio e di attesa, dunque di speranza. Anche l’Anno liturgico è modellato sull’orologio della terra che da sempre scandisce il nostro operare e il nostro sentire, ma, nel nostro caso, della fede che è un dono di Dio al nostro ascolto e alle nostre attese. “Fate questo in memoria di me”, aveva comandato Gesù, e nell’Eucaristia c’è tutto - la Parola di Dio, la presenza di Dio. la speranza che il Signore vuole donarci: il memoriale di Cristo morto e risorto, ricordo del passato, attualizzazione di una presenza, anticipazione del futuro. E’ questo il senso del culto cristiano: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. E dobbiamo ricordarcelo proprio in questo inizio del tempo di Avvento che è anche l’inizio dell’Anno liturgico che, non a caso, ricorda ai cristiani la prima venuta del Figlio di Dio, che nasce a Betlemme. Ma ricorda anche l’ultima sua venuta alla fine dei tempi e che i cristiani o attendono con vigilanza, oppure addormentati nelle molte chiacchiere del secolo. Ricorda, soprattutto, la sua venuta, qui ed oggi, nella comunità cristiana, dove i credenti sono chiamati a convertirsi, a vigilare su sé stessi per rendere presente Gesù con la loro vita!

In questo viaggio dentro la nostra anima e la nostra vita, quest’anno, ci accompagnerà il Vangelo di Marco, il Vangelo più breve di tutti, ma anche il Vangelo dell’Evangelista che sa quanto non sia facile comprendere e accogliere il mistero di Gesù, crocifisso dagli uomini e risuscitato da Dio. E, allo stesso tempo, l’Evangelista che ci riporta alla Galilea delle genti per sentire quanto Gesù sia davvero la buona notizia per tutti gli uomini e le donne di ogni tempo. Così, il Vangelo di Marco, in questa Prima Domenica d’Avvento, parla a nome del Signore con un appello che riguarda tutti i suoi discepoli e discepole. Un appello, forte e incisivo, quasi un ordine che non possiamo lasciare cadere per nessuna ragione: “ Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (Mc 13, 37). Vegliare, è, dunque, la parola chiave dell’Avvento. Ma vegliare è, soprattutto, per Gesù non già un discorso edificante da farsi in un luogo sacro, o da meditarsi in un tempo sacro, - ad esempio in una predica! -, bensì un appello pressante rivolto alla vita, alla mia vita concreta, qui ed ora.

Noi, di fatto, non attendiamo un evento, ma Qualcuno, un Qualcuno che non abbiamo incontrato mai di persona, faccia a faccia, ma del quale tanti testimoni hanno continuato a parlarci senza sosta. Alcuni lo conobbero in passato, da veri testimoni oculari, e affidarono ai Vangeli le sue parole, gli eventi e i gesti da Lui compiuti: appartengono ormai alla storia, ma una storia che non si è mai interrotta fino ad oggi. E così, da venti secoli a questa parte, in ciascuno di coloro che hanno prestato fede a quello “sconosciuto”, questa sua Parola è risuonata in modo diverso e, - particolare assolutamente unico – tutti si sono affidati a Lui a motivo dell’eco che questa Parola ha suscitato nel loro cuore, quando scende il crepuscolo delle molte attese che risuonano nel “mondo”. Al punto che ciascuno di loro, ciascuno di noi, non potrebbe mai dire di non conoscerlo. Egli, infatti, ci ha lasciato il suo Spirito, lo Spirito del Padre che riposava su di Lui nei giorni in cui dimorava tra noi, e senza il quale non avrebbe potuto far nulla. Quello Spirito che, ancora oggi, ripete a ciascuno di noi: “Vegliate!”.

Ed è ancora lo Spirito di Gesù che, nei nostri cuori, anima questa veglia. Senza di Lui, senza i suoi stimoli incessanti al cuore del nostro essere, - ma purché sappiamo ascoltarlo con tutto noi stessi -, non potremmo rimanere svegli, mentre da molto tempo avremmo ceduto al sonno che insidia molta parte dell’umanità e particolarmente oggi. Di fatto, nella fede e nell’attesa di Dio, noi spesso sonnecchiamo. Quaggiù, infatti, siamo circondati da molte tentazioni che facilmente ci distraggono e monopolizzano il nostro desiderio più profondo. Ci inducono a nutrirci di ideali effimeri e passeggeri e che ci fanno dimenticare che la nostra vera gioia si trova al termine del cammino. Non per nulla, nell’Apocalisse, si afferma che Gesù, ad ogni istante, sta alla nostra porta e bussa, ma nella maggior parte dei casi invano. Non lo sentiamo e non riconosciamo la sua voce in quelli che ci circondano, negli eventi che spesso subiamo invece di accoglierli come una sua visita, nella liturgia stessa che celebriamo ogni giorno o anche la domenica. In realtà, quell’appello di Gesù: “Vegliate!” è un appello allo stare svegli e al pericolo, sempre presente, che potremmo cadere, piano piano, nell’oblio e nell’indifferenza verso di Lui e quindi verso la speranza. Il pericolo, cioè, che non ci lasciamo più plasmare dal suo Spirito che, molto discretamente e senza alcuna violenza, vorrebbe guidarci a partire dal nostro intimo e infonderci, anche nella situazione più triste, il suo amore vigilante e la sua speranza.

Già la speranza! I cristiani hanno ancora questa speranza che può venire soltanto dalla presenza di Gesù, dalla familiarità con la sua Parola e la sua Vita? Se guardiamo al mondo moderno, qualcuno ha potuto dire che il nostro tempo, il secolo dell’uomo e del suo “progresso” inarrestabile, il secolo in cui l’uomo si è posto al centro di tutto e scalzando così ogni trascendenza, è forse “un immenso cimitero di speranze”. La storia di questi ultimi anni si è incaricata, infatti, di demistificare il mito delle “magnifiche sorti e progressive” (Leopardi), mentre le grandi promesse dell’Illuminismo, - perfino con tutti i suoi meriti, se vogliamo, in un certo senso anche innegabili (lotta contro l’ignoranza, la passività verso l’ingiustizia, ecc.) -, non si sono realizzate. Il mondo moderno continua ad essere afflitto da crudeltà, disuguaglianze sociali e culturali, ingiustizie e insicurezza. E particolarmente oggi in un tempo di pandemia.

E d’altra parte, - viene da chiedersi -, l’indebolimento della fede religiosa a tutti i livelli ha portato forse ad una fede maggiore nelle possibilità e risorse dell’uomo, inteso soprattutto in senso esistenziale? Al contrario. L’abbandono di Dio sembra piuttosto lasciare l’uomo e la donna contemporanei senza un orizzonte ultimo, senza una meta e senza punti di riferimento in nessuna cosa. Nemmeno nella cultura, nella scienza o nell’arte. Gli avvenimenti della vita di ciascuno si susseguono continuamente, ma non conducono a nulla di nuovo. La civiltà dei consumi e della tecnologia avanzata produce nuovi prodotti, ma solo per mantenere il sistema, si direbbe, nell’immobilismo assoluto. E sono soprattutto i giovani a subire le conseguenze di tale immobilismo. I filosofi più in voga, tranne qualcuno, ci avvertono che dobbiamo imparare a “vivere nella condizione di chi non è diretto da nessuna parte” (Gianni Vattimo). E dunque sono davvero pochi quelli che si impegnano a fondo perché le cose del mondo siano diverse e la vita stessa sia qualcosa di diverso che la semplice sopravvivenza. Più che altro cresce l’individualismo, l’indifferenza verso le questioni collettive, il bene comune e perfino la natura che ci custodisce e ci nutre. In questo stato di cose, la parola d’ordine sembra essere (anche se molti non lo sanno o non vogliono saperlo): “si salvi chi può”. E potremmo continuare a lungo. Ma tant’è.

Invece, il grido di Gesù: “ Vegliate” ci parla proprio della possibilità che l’essere umano dimentichi, nel profondo, quel “Dio della speranza” di cui parlava San Paolo nelle sua Lettera ai Romani ( Rm 15, 13). Quel Dio del quale molti dubitano, quel Dio che tante e tante persone hanno abbandonato ma senza mai averlo conosciuto davvero, e che tuttavia rimane nel nostro cuore come una ferita inguaribile. Perché abbiamo bisogno, per vivere, della speranza. Non possiamo farne a meno, così come non possiamo fare a meno della presenza di Dio nella nostra vita, per continuare a sperare che la nostra vita non sia dopo tutto che un pugno di cenere. Dunque, una speranza che si fonda in Cristo risorto e che viene verso di noi nella notte di veglia dell’Avvento, come l’autunno di Dio che annuncia l’avvento di Dio. Così il grido di Gesù che ci chiama a “vigilare” non è l’ultima utopia o una reazione disperata dinanzi alla crisi, alle incertezze del momento, bensì è una chiamata a vigilare perché in noi non si spenga mai la speranza. E con la speranza la fede, la preghiera, la fiducia con la quale la Sposa dell’Apocalisse, - la Chiesa della speranza -, grida anche nel nostro cuore, in ogni stagione della nostra vita, in ogni momento della storia. Dunque anche nel mistero dell’autunno con il suo silenzio e la sua attesa: “ Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22, 20).

 


don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 29 novembre 2020

    

 

Powered by Hiho Srl
Questo sito utilizza i cookies, tecnici e di terze parti per ottimizzare l'esperienza di navigazione degli utenti connessi.

ACCETTO - DETTAGLI